lunedì 17 agosto 2009

Belladonna (Atropa belladonna)





La ciliegia della pazzia: la belladonna


Atropa belladonna or Atropa bella-donna, commonly known as belladonna or deadly nightshade, is a perennial herbaceous plant in the family Solanaceae, native to Europe, North Africa, and Western Asia. The foliage and berries are extremely toxic, containing tropane alkaloids. These toxins include scopolamine and hyoscyamine which cause a bizarre delirium and hallucinations. The drug atropine is derived from the plant.

It has a long history of use as a medicine, cosmetic, and poison. Before the Middle Ages, it was used as an anesthetic for surgery, and it was used as a poison by early men, ancient Romans, including the wives of two Emperors, and by Macbeth of Scotland before he became a Scottish King.

The genus name "atropa" comes from Atropos, one of the three Fates in Greek mythology, and the name "atropa bella donna" is derived from an admonition in Italian and Greek meaning "do not betray a beautiful lady".


Una delle pianticelle più velenose dei nostri campi ha un nome seducente: belladonna. Pare dovuto al fatto che già le veneziane la preparavano per preparare un cosmetico in acqua distillata che faceva dilatare le pupille, rendendole più attraenti. Effettivamente essa contine fra altri alcaloidi l'atropina, usata in oculistica per questo scopo. Secondo un'altra interpretazione il nome deriverebbe dal francese belle-femme, termine usato nel Medioevo per designare le streghe che si servivano della pianta nella preparazione di unguenti e pozioni. In Italia la si è chiamata anche morella furiosa, in Germania Toll-Kirsche, ovvero ciliegia della pazzia, e in Inghilterra Deadly Nightshade, Belladonna mortale.
Linneo la denominò Atropa Belladonna ispirandosi anche al nome di una delle tre parche [

«Ma perché lei che dì e notte fila,
non gli aveva tratta ancora la canocchia,
che Cloto impone a ciascuno e compila...»

(Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27)

Le Parche (in latino Parcae), nella mitologia romana, sono il corrispettivo delle Moire greche.

In origine si trattava di una divinità singola, Parca, dea tutelare della nascita. Successivamente le furono aggiunte Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi di gravidanza.

Figlie di Zeus e Temi, la Giustizia. Esse stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.

In un secondo momento furono assimilate alle Moire (Cloto, Lachesi ed Atropo) e divennero le divinità che presiedono al destino dell'uomo. La prima filava il tessuto della vita, la seconda dispensava i destini, assegnandone uno ad ogni individuo stabilendone anche la durata, e la terza, l'inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dei potevano cambiarle.

Venivano chiamate anche Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato (dal latino Fatum ovvero "destino").

Nel Foro, in loro onore, erano state realizzate tre statue, chiamate tria Fata ("i tre destini")]

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