domenica 23 agosto 2009

Faggio (Fagus sylvatica)



foto Scivola

foto Scivola

Nomi dialettali: Faj, Faggiu, Faghe, Fave, Fagge, Fagu.


Dati scientifici.


Morfologia

Albero alto fino a 40 metri, longevo, a tronco dritto e cilindrico, con rami grossi e nodosi che formano una chioma conica-ovoidale, densa; nelle radure i rami sono suborizzontali e poi ascendenti si da formare una chioma molto ampia. La corteccia è liscia, sottile, di colore grigio-argenteo, spesso ricoperto di licheni. Le gemme sono affusolate, lunghe fino a tre cm, acute, bruno chiare

venerdì 21 agosto 2009

Il sandalo del mondo: l'orchidea



C ' era una volta, narra una leggenda dell'Epiro, un giovinetto bellissimo di nome Orchide al quale, all'inizio dell'adolescenza, erano spuntati due opulenti seni femminili; e a mano a mano che egli cresceva il corpo diventava così sinuoso e morbido da sfuggire a ogni classificazione sessuale. Orchide non capiva più se fosse un maschio o una femmina, o entrambi insieme; e ne soffriva perchè maschi e femmine lo sfuggivano trovandolo tanto diverso da loro, tanto ambiguo: un ermafrodito. La sua ambiguità si rifletteva anche nel carattere: talvota timido e schivo come una ninfa, talaltra lussurioso come il dio Pan.
Un giorno, disperato, si gettò da una rupe sfracellandosi su un prato, dove per incanto spuntarono dal suo sangue tanti fiori, l'uno diverso dall'altro ma simili nella fastosa e bizzarra sensualità. Ebbero così il nome di orchidee, ossia fiori di Orchide. Vi erano quelle che come l'Orchis simia ( http://luirig.altervista.org/schedeit/fo/orchis_simia.htm ), che sembravano nude e impudiche scimmiette; altre, come l'orchidea odorosa ( http://www.myristica.it/jul-2001/vaniglia.html ), raffiguravano ciò che vi è di più celato nella femminilità; altre ancora alludevano esplicitamente alla mascolinità. Per tale motivo, forse, gli efebi ateniesi, vestiti di bianco, cantavano lodi agli dei con la fronte incoronata di orchidee.
I Greci la chiamavano kosmosàndalon, sandalo del mondo, per il labello rigonfio che si trova in molte specie spontanee nell'area mediterranea e assomiglia alla punta di una scarpetta ( la seconda foto a partire da sinistra in alto) .
Ma la bellezza del fiore ha evocato anche il simbolo dell'Armonia, e perfino l'emblema della Perfezione spirituale, perchè la bellezza carnale e terrena, come ha insegnato Platone, non è se non una materializzazione di quella invisibile ai nostri occhi di mortali: bellezza che, come il corpo androgino di Orchide, trascende ogni genere, essendo maschile e femminile insieme.

Alfredo Cattabiani - Florario -

Vespa su Santoreggia [Vespula vulgaris (?)] e vespula germanica





La vespa e le tenebre


La vespa (Vespa, genere delle varie specie di insetti imenotteri aculeati della famiglia Vespidae) ha ispirato simboli opposti all'ape perchè non produce né miele né cera e la sua arnia, tranne quella della cartonia, è costruita sotto terra, in quelle tenebre che simbolicamente indicano il disordine, la confusione, il male: tant'è vero che si dice «cadere in un vespaio» quando si affronta un ambiente ostile, dal quale si ricevono danni, sevizie, soprusi, ferite.
Nella tradizione cristiana il vespaio ha simboleggiato anche che le sette eretiche che anticamente, quando la Chiesa poteva usare contro di loro il potere temporale, si celavano nell'ombra.
Nel mondo classico invece il simbolismo della vespa non era cos' univoco sebbene prevalesse quello negativo. Nel Libro dei sogni Artemidoro sosteneva che preannunciasse uomini perversi e crudeli. A sua volta Aristofane paragonava i vecchi giudici ateniesi alle vespe, alludendo alla loro ferocia e al potere sovrano e illimitato che esercitavano:«Ecco subito è teso il pungiglione acuto, la nostra arma» proclama il coro nella commedia Le vespe (http://it.wikipedia.org/wiki/Le_vespe_%28Aristofane%29). E soggiunge in un altro in un altro passo: "Se qualcuno di voi spettatori nel vederci si meraviglia che abbiamo la vita sottile come quella di una vespa e domanda che cosa significa il pungiglione, glielo spiegheremo facilmente anche se prima non ne sapeva nulla. Noi che portiamo questa appendice siami i soli veri Attici autoctoni (il termine autoctono indica l'appartenenza di qualcosa o di qualcuno ad un luogo)
, razza arditissima che ha salvato la città dalla guerra, quando il barbaro la incendiò e soffocò nel fumo sperando di distruggere a forza i nostri vespai. [...] Sicché presso i barbari anche oggi si suole dire che non c'è nulla al mondo più coraggioso di una vespa attica".
Nella metereologia popolare si sosteneva che quando apparivano molte vespe durante l'autunno, l'inverno successivo sarebbe stato rigido.
In una favola di Fedro, A proposito di quei favi, la vespa nei panni del giudice ha eccezionalmente una connotazione positiva, come immagine di saggezza e di equilibrio:

Le api fecero i favi, sulla quercia,
e i fuchi, buoni a nulla, si dicevano
proprietari dei favi.
Si finì in tribunale. Il giudice, una vespa,
che conosceva bene queste e quelli,
avanzò una proposta alle due parti:
"La taglia è affine, l'apparenza eguale:
è legittimo il dubbio intorno al fatto.
Ma sono scrupolosa e non vorrei
mai peccare di poca avvedutezza:
preparate le celle con la cera;
che dal gusto del miele e dalla buona
forma del favo l'evidenza mostri
chi costruì quelli di cui si discute".
I fuchi si opposero, accettarono le api.
Fu allora emessa la sentenza:
"Chi non sa fare i favi e chi li ha fatti
si vede, e alle api rendo il loro frutto"

Alfredo Cattabiani - Volario -










La Rosa di Gerico








La Rosa di Gerico è considerata da tempi remoti e da popoli diversi l'unico talismano vivente.


Oggi si ritiene ancora che chi coltiva con amore una Rosa di Gerico attira su di sè l'amore, la salute, la pace e l'armonia con se stesso e con il mondo. Inoltre se, grazie alle cure che le vengono prodigate, la Rosa compie regolarmente il suo ciclo di morte e rinascita, il suo possessore otterrà, in cambio delle sue premure, creatività e abilità nel lavoro e buona fortuna negli affari.


Per saperne di più vai al link: http://www.ritrovodelfiore.it/index.php?option=com_content&view=article&id=103:la-rosa-di-gerico&catid=21:piante

giovedì 20 agosto 2009

Basilico (Ocimum basilicum)








La pianta regale: il basilico


Non si sarebbe potuto trovare un nome migliore al basilico, a questa erba degli orti elegante nella sua semplicità e dall'intenso profumo, ma anche salutare grazie alle sue proprietà antispasmodiche ( che serve a bloccare gli spasmi rilassando i muscoli ), digestive, emmenagoghe (principi attivi in grado di stimolare l'afflusso di sangue nell'area pelvica e nell'utero, e in alcuni casi, di favorirne la mestruazione) e toniche. Basilico deriva infatti, tramite il latino basilicum, dal greco basilikòs, regale. In botanica è chiamato Ocimum basilicum, dove il primo termine significa "profumo". Per questo motivo, come ricorda Carlo Lapucci, ha ispirato il simbolo della Dolcezza e l'impresa "Quo mollius, eo soavius" (quanto più delicatamente, tanto più soavemente). Un'altra impresa, "Mentis nubila pellit" (caccia l'oscurità dalla mente), è stata ispirata dalla credenza secondo la quale avrebbe la proprietà di combattere depressione e abulia.
Aldo Fabrizi dedicò alla piantina un sonetto in romanesco che merita di essere citato perchè riassume efficacemente in uno stile popolaresco le sue proprietà:

A parte che er basilico c'incanta
perchè profume mejo de le rose,
cià certe doti medicamentose
che in tanti mali so' 'na mano santa.

Abbasta 'na tisana de' sta pianta
che mar de testa, coliche ventose,
gastriti, digestioni faticose
e malattie de petto le strapianta.

Pe' via de' sti miracoli che ho detto,
io ciò 'na farmacia sur terrazzino,
aperta giorno e notte in un vasetto.

Dentro c'è 'no speziale sempre all'opera,
che nun pretenne modulo e bollino
e nun c'è mai pericolo che sciopera.

Si crede che il basilico liberi l'aria dagli spiriti maligni sicchè lo si tiene spesso sui davanzali o nei pressi della casa. Le foglie messe nell'acqua purificherebbero il corpo e la mente da malefici influssi, che si possono cacciare anche spargendole asciutte sul pavimento. La sua presenza avrebbe anche un altro effetto non dissimile secondo il codice di corrispondenze tradizionale, per il quale una pianta che allontana i demoni tiene a debita distanza anche i serpenti e scorpioni e persino zanzare. Si sostiene infatti che, posta vicino ai pomodori, respinga gli insetti. La sua presenza nelle cucine e nelle stanze da pranzo preserverebbe dagli avvelenamenti o disturbi causati da cibi cattivi, alterati o "fatturati".
In India vi è un basilico sacro detto tulasi, un'erba consacrata e identificata con Lakshmi, sposa di Vishnu, dea della bellezza, della quiete e dell'armonia, per tanti aspetti simile alla nostra Afrodite Urania. Si invoca la tulasi per proteggere tutte le parti del corpo, ma soprattutto perchè conceda figli a chi li desidera. Narada, l'Orfeo indiano patrono della musica, ha cantato le lodi di questa pianta immortale che contiene tutte le perfezioni, allontana ogni male e purifica.
La tulasi apre il cammino del cielo agli uomini pii. Per questo motivo, quando un uomo è morente, gli si pone sul petto una foglia della piantina, e dopo la morte se ne lava la testa con acqua contenente semi di lino e foglie di tulasi. Chi la pianta e religiosamente la coltiva ottiene il privilegio di salire al palazzo di Vishnu circondato da dieci milioni di parenti. Non la si può cogliere se non con pie intenzioni - pena gravissime disgrazie e un destino infelice nella vita futura - pronunciando questa preghiera: "Madre Ttulasi, tu che porti la gioia nel cuore di Govinda, io ti colgo per il culto di Narayana. Senza di te, beata, ogni opera è sterile; per questo ti colgo, dea Tulasi: siimi propizia. Poichè ti colgo con cura, sii misericordiosa verso di me, oh Tulasi, madre del mondo: te ne prego!".
A sua volta Vincenzo Maria di Santa Caterina, un religioso italiano vissuto nel XVII secolo, scriveva a proposito di un'usanza tipica del Malabar (regione situata lungo la costa della penisola indiana): "Quasi tutti, specialmente gli abitanti del Nord, adorano un'erba simile al nostro basilico gentile, che ha tuttavia un profumo più intenso. La chiamano collò, ognuno costruisce davanti alla propria casa un altarino circondato da un muricciolo, alto un mezzo braccio, in mezzo al quale alza pilastrini. Hanno una grande cura di quest'erba; di fronte ad essa sussurrano più volte al giorno le loro preghiere, prosternandosi spesso, cantando, danzando e innaffiandola. Sulle rive dei fiumi dove vanno a bagnarsi e all'entrata dei templi se ne vede una grande quantità: essi credono infatti che gli dei amino particolarmente quest'erba e che il dio Ganavedi vi dimori abitualmente. Durante i viaggi, non avendo questa pianta, la disegnano sul terreno insieme con la radice; ecco come si spiega che sulla spiaggia del mare si vedono spesso questi disegni tracciati sulla sabbia".

Il basilico, l'amore e l'amicizia

Anche in Occidente si attribuisce al basilico un simbolismo erotico che si riflette nella proprietà di favorire il concepimento, tant'è vero che una volta lo si dava come foraggio ad asine e cavalle prima della monta. In Abruzzo, nel Chietino, un giovane contadino si recava a far visita alla fidanzata portandone sull'orecchio un rametto, ma non lo regalava all'amata perchè il gesto sarebbe stato interpretato come segno di disprezzo. In Toscana lo si soprannominava "amorino": ruolo confacente, come osserva Angelo De Gubernatis, riferendo che in una novella di Gentile Sermini, un narratore senese del XV secolo, una giovane donna avverte il suo amoroso che può salire con un gesto simbolico: togliendo il vaso del basilico dal davanzale.
In Sicilia era Simbolo di Amore ricambiato, sicchè la ragazza che ne metteva da un giorno all'altro un vasetto sul davanzale voleva far sapere di essere innamorata. Ma in alcune zone quel vasetto poteva anche indicare la casa di una prostituta.
Il tema del basilico simbolicamente "mezzano" si ritrova in una novella diffusa in tutta l'Italia, e che in toscana è intitolata Il basilicone. C'era una volta una bella ragazza di nome Caterina, che ogni giorno si recava da una sarta per imparare a cucire. Avevva ricevuto l'ordine di innaffiare ogni mattina una suntuosa pianta di basilico posta sul balcone che si affacciava sulla via principale, dove passeggiava abitualmente il figlio del re. Questi finì per notare non soltanto quella pianta gigantesca ma anche la bella ragazza che l'annaffiava amorevolmente. Sicchè un giorno le rivolse la parola:

"Bella ragazza di sul balcone,
quante foglie ha il vostro basilicone?"

Caterina, intimidita, non seppe che cosa rispondere; ma siccome la scena si ripeteva ogni mattina, alla fine si consigliò con la sarta che le suggerì una risposta. Quando il principe le rivolse la solita domanda, lei disse:

"E voi, figliolo del re imperiale,
quante stelle ci sono in cielo e pesci in mare?"

Il gioco si trasformò a poco a poco in una sequenza di beffe e ripicche, finchè il principe, innamoratosi perdutamente della bella Caterina, il cui nome le si addiceva perchè le apprendiste sarte hanno come patrona la omonima santa d'Alessandria, decise di sposarla.
Il basilico non è soltanto benefico all'amore: i suoi rami fioriti posti dentro un vaso in una stanza propizierebbero l'amicizia e la concordia familiare. Questa sua funzione si riscontra anche in un'usanza siciliana, riferita dal Pitrè: la cosidetta "comare di basilico", una forma di comparatico (è un termine di origine siciliana, che indica il rapporto intercorrente fra i due compari o le due commari) fra donne e ragazze che si stringe scambiandosi vasi di questa pianticella nel giorno canonico di San Giovanni Battista.
E' insomma una pianta magica che può perdere tuttavia i suoi effetti se la si tocca o la si taglia con il ferro, come riferisce Plinio. La si deve cogliere per pratiche magiche con la mano sinistra e a luna crescente.
Un suo rametto permette infine di capire se una persona è ipocrita o bugiarda: basta, pare, metterne un ramoscello sul suo corpo mentre dorme; se il sospetto è fondato, le foglioline avvizziranno in pochissimo tempo.

Alfredo Cattabiani - Florario -




Peperoncino (Capsicum annuum)











"Il rossardente diavoletto folle del peperoncino" (D'Annunzio)

(a Pescara e a Chieti viene chiamato cazzariello o lazzaretto)

Il peperoncino (Capsicum annuum) arrivò nel 1514 in Europa insieme con il più grosso Peperone del Messico, dov’erano entrambi coltivati fin dai tempi precolombiani. Secondo un mito tolteco (i toltechi erano un popolo nativo americano dell'epoca pre-colombiana che dominò gran parte del Messico centrale tra il X ed il XII secolo. La loro lingua - il nahuatl- era parlata anche dagli aztechi) il dio Tezcatlipoca apparve per la prima volta alla futura sposa, figlia del serpente piumato Quetzalcóatl, nelle sembianze di un venditore di peperoncino.
Fu adottato quasi immediatamente come spezia per insaporire le vivande. Il Mattioli nel 1568 ne parla già come di una pianta comune, chiamandolo "pepe d'India" o "pepe cornuto" o, come vogliono altri, "siliquastro". Castore Durante, dopo averlo descritto con i suoi fiori bianchi da cui escono i frutti "che son guaine simili a cornetti", ne decanta le virtù come condimento: " Si una in tutti i condimenti de i cibi perchè è di miglior gusto che il pepe commune e per farlo più piacevole si pestano le sue guaine insieme col seme e s'incorporan con pasta, e se ne fan pan biscotto, il quale accompagnato con le spetie communi le moltiplica con non ingrado sapore, e i pezzetti delle guaine fatte bollire nel brodo sono condimento eccellentissimo. Conforta molto questo pepe, risolve le ventosità, è buono per il petto e anche per coloro che sono di frigida complessione (insomma riferito a uno che non arrizza o a una che non gli va di scopare) e conforta corroborando i membri principali".
Essendo caldo e secco nel quarto grado non poteva non evocare gli Inferi solari e purificatori. Fu chiamato benevolmente "diavoletto" nel nostro Meridione, dove si diffuse rapidamente e divenne l'aroma preferito, come testimonia lo stesso D'Annunzio chiamandolo "rossardente diavoletto folle". E' detto diavulillu in Molise e nella vicina Campania, tiavulicchiu nelle Puglie, diavulicchiu in Lucania, ma anche frangisello, pupon, zafarano, mericanill, mentre a Pescara e a Chieti diventa, cazzariello, ma anche lazzaretto, e in Calabria pipariellu, pipazzu, pipi vruscente (bruciante) e cancariello.
Alfredo Cattabiani - Florario -

Santoreggia montana (Satureja montana)





Timo, con questa dizione viene chiamata comunemente in Abruzzo la Santoreggia (Satureya Montana, L.), ma non è il Timo!

mercoledì 19 agosto 2009

Salvia (salvia officinalis)





http://it.wikipedia.org/wiki/Pianta_officinale



La lingua vegetale: la salvia

Narra una leggenda che la Sacra Famiglia era in fuga verso l'Egitto, inseguita dai soldati di Erode che volevano uccidere il Bambin Gesù. Temendo di essere raggiunti, Maria e Giuseppe bussavano disperatamente agli usci che trovavano lungo la strada, ma appena la gente veniva a sapere che le guardie li stavano cercando non apriva o addirittura chiudeva precipitosamente la porta. Ormai i soldati erano alle loro calcagna: già si vedeva sulla collina la nuvola di polvere dei cavalli lanciati al galoppo. Non sapendo più a chi rivolgersi, la Madonna chiese a una rosa se poteva celare tra le sue foglie almeno Gesù Bambino. Ma la pianticella vanesia rispose: " Non puoi chiedere un simile sacrificio proprio a me che sono la Regina dei fiori. Se i soldati lo sentiranno piangere, frugheranno fra le foglie e i fiori e li sciuperanno".
"E' vero, sei bella, ma sei egoista. D'ora in poi i tuoi fiori appassiranno presto e il tuo stelo sarà coperto di spine."
Poi la Vergine si rivolse alla vite che si comportò come la rosa: "Per carità, non posso rischiare! Se i soldati sospetteranno che Gesù è nascosto tra le mie foglie, vi rovisteranno con le loro armi rovinando i tralci e compromettendo la crescita dell'uva".
"Poichè tieni molto alla tua uva sarai castigata. D'ora in poi i tralci ti saranno tagliati ogni anno, gli asini ti mangeranno le foglie e i grappoli te li porteranno via i vendemmiatori."
Ormai si sentiva distintamente il galoppo dei cavalli: che fare? La Madonna si guardò intorno e vide un cardo che a quel tempo era una grande pianta senza spine. Ma anche quella piantina rifiutò di aiutarli:"Non ti fermare, per favore! Perchè se questi sospettano che nascondo mio figlio, prenderanno a sciabolare i miei fiori che sto allevando con tanta fatica". Fu castigata poichè le crebbero le spine.
Nelle vicinanze c'era una salvia fiorita, che alla richiesta della Vergine aprì immediatamente le foglie celando Gesù Bambino e addormentandolo con il suo intenso profumo. Così i soldati, vedendo per la strada soltanto un vecchietto insieme ad una donna, passarono oltre senza fermarsi.
Ripreso Gesù, la Madonna benedisse la salvia dicendole:"Tu sarai la pianta di tutti gli orti: i malati ti cercheranno per guarire, i sani per cucinare cibi o aromatizzare bevande. E tutti ti rispetteranno e proteggeranno come la pianta più utile che ci sia sulla Terra".

Alfredo Cattabiani - Florario-

Ginepro comune (juniperus communis)





(Ginepro coccolone - Juniperus oxycedrus-)



Il ginepro, simbolo del Cristo



Fino all'inizio del 900 nelle campagne emiliane si usava bruciare un ramo di ginepro la sera di Natale, di san Silvestro e dell'Epifania. Il suo carbone, come quello del ceppo, veniva poi impiegato durante l'anno in tanti rimedi superstiziosi. Di quelle usanze Amadeo costa offriva un'interpretazione nel Curioso discorso intorno alla Cerimonia del Ginepro, aggiuntavi la dichiarazione del metter Ceppo e della Mancia solita a darsi nel tempo di Natale, già citato a proposito del ceppo natalizio. Siccome molti da Plinio a Mattioli, da Discoroide a Durante, avevano sostenuto che il profumo del ginepro scacciava le serpi, mentre il succo delle foglie e delle bacche guariva dai morsi delle vipere e di altri animali velenosi, l'immaginifico bolognese, paragonando i peccati a simboliche serpi e il ginepro alla Croce del Cristo scriveva: "Però da questo siamo avvertiti che in qualunque tempo ci troviamo mortificati da questi serpenti velenosi dé peccati, non tardiamo a correre al Ginepro, facendo profumi per mezzo della confessione, prendendo le foglie di esso, che al toccare sono pungenti, significandoci la compunzione (atteggiamento critico nei confronti del proprio operato, che si traduce in un'espressione silenziosamente concentrata o imbarazzata, talvolta con una sfumatura di ipocrisia) del cuore e le mortificazioni del corpo, gustando il succo delle bacche così amare al gusto, piangendo le colpe commesse, e dicendo con Giobbe: loquar in amaritudine, che a questo modo resteremo liberi e risanati affatto".
E come un bagno nella "decozione" (il fare i "decotti") del suo legno avrebbe giovato ai gottosi, così il bagno spirituale del Ginepro avrebbe liberato dall'accidia. Quanto alla sua cenere, era simbolo di Umiltà:" Caviamo documento morale che noi dobbiamo accenderci del fuoco della carità verso Dio e verso il prossimo ricoprendoci con la cenere del Ginepro, che dinota l'umiltà umiliandoci nel cospetto di Dio e degli uomini, che a questo modo si accenderà da noi un fuoco inestinguibile".
Addentrandoci in questa sintassi, talvolta fantasiosa come le sue immagini, incontriamo le bacche del ginepro che sono violacee come i paramenti sacri nei tempi della Quaresima e dell?avvento: "nel che" commenta il Costa "siamo esortati a far frutti di penitenza e ad udir quella voce di Giovanni che grida nel deserto".
Il suo legno, spiegava, non soltanto è inattaccabile dai tarli, come scrive Virgilio ("addam et juniperos carie impenetrabile robur"), ma dura centinaia di anni. Secondo Plinio, anzi, esiste una specie di Ginepro capace di crescere a tale altezza che si può usarne il tronco per farne travi per le navi. Il naturalista latino afferma che "in Spagna, a sagunto, il tempio di Diana, arrivata per mare da Zacinto insieme con i fondatori della città duecento anni prima della distruzione di Troia, secondo quando afferma Bocco (è situato ai piedi della città, e Annibale, colto da scrupoli religiosi, lo lasciò intatto) ha travi di ginepro che resistono ancora." Sono queste sue qualità a farne un simbolo della Croce: "Noi potiamo imparar da questo che dobiamo prendere il legno del Ginepro, cioè la croce di Cristo redentore, facendone travi grandi nel tempio dell'Anima nostra, perchè Templum Dei estis vos, dice l'apostolo, e l'arbore della Croce è così grande che la sommità di esso tocca il cielo, come disse il Cristo: ego, cum exaltatus fuero, omnia traham ad me ipsum".
Siccome la scorza del ginepro bruciata e ridotta in cenere e mescolata con acqua gioverebbe, a guisa di unguento, alla lebbra e alla rogna, potrebbe simboleggiare "la cognizione di noi stessi, la quale ci viene ridotta a memoria il primo giorno di Quaresima da Santa Chiesa nella Cenere postaci sul capo con le parole aggiunte: Memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris".
Concludendo il suo immaginifico Discorso, il Costa sosteneva, quasi volesse evitare sospetti negli occhiuti censori ecclesiastici dell'epoca, che l'usanza di bruciare il ginepro non era certo una pratica pagana, e soggiungeva:" Tutti dobbiamo mostrarci pronti ad accendere e abbrugiare il Ginepro e nel gettarlo sul fuoco considararemo che essendo arbore odorifero, nell'abbrugiarsi rende odore, e il suo fumo sale in alte, nel qual atto considararemo che le nostre orazioni deono ascendere e arrivare all'orecchio di Dio( che non si deve lasciare di dire almeno divotamente un Pater e un'Ave Maria, mentre lo poniamo sul fuoco) acciò che ivi gionte ci impetrino da Sua Divina Maestà una purità di mente e di core e grazia d'emandarci presupponendo che ogni buono e timorato cristiano s'abbia a confessare Natale per rinascere col nascente Salvatore a vita più lodevole e migliore".


lunedì 17 agosto 2009

Rosa canina (bacche non mature )




Curiosità


La rosa nel linguaggio dei fiori


Each type of rose has evoked in the language of flowers, a feeling or message. The white rose, the silence and secrecy, but also the candor and innocence. The rose-flowered variety, the betrayed Amor. The rose borracina, Beauty capricious, and the “dog-rose” the independence but also the poetry and the cappuccina, the pump and the Splendor, the cinnamon, the Early Maturity, the rose of Bengal, of the composure or "You are beautiful in the prosperous the unfavourable and fortune. " The China's rose, "Reconcile us!" If it is a double red flower shows spite. With a list of Banks says: "You are beautiful in rice and in tears" with the yellow is the complaint Infidelity and Shame; with rose musk is accused: "You are beautiful but capricious." With the rose tea emphasizes the Kindness’s woman loved, the musk warns that "Beauty is void," and the hopes multiflora fidelity.

(Scusate la traduzione approssimativa, se non altro ci provo,

Excuse me approximate translation, at least I try)



Ogni tipo di rosa ha evocato nel linguaggio dei fiori un sentimento o un messaggio. La rosa bianca, il Silenzio e la segretezza, ma anche il Candore e l'Innocenza. La rosa a fiore variegato, l'Amor tradito. La rosa borracina, la Bellezza capricciosa; la canina l'Indipendenza ma anche la Poesia; la cappuccina, la Pompa e lo Splendore; la cannella, la Maturità precoce; la rosa del Bengala, la Compostezza dell'anima ovvero "Siete bella nella prospera e nell'avversa fortuna". La rosa della Cina, "Riconciliamoci!"; se però è a fiore rosso doppio indica Dispetto. Con una rosa di Banks si dice: "Voi siete bella nel riso e nel pianto"; con la gialla si denuncia l'Infedeltà e la Vergogna; con la rosa muschiata si accusa:"Siete bella ma capricciosa!". Con la rosa tea si sottolinea la Gentilezza della donna amata, la muschiata ammonisce che "la Bellezza è caduca", mentre la multiflora augura fedeltà.




Belladonna (Atropa belladonna)





La ciliegia della pazzia: la belladonna


Atropa belladonna or Atropa bella-donna, commonly known as belladonna or deadly nightshade, is a perennial herbaceous plant in the family Solanaceae, native to Europe, North Africa, and Western Asia. The foliage and berries are extremely toxic, containing tropane alkaloids. These toxins include scopolamine and hyoscyamine which cause a bizarre delirium and hallucinations. The drug atropine is derived from the plant.

It has a long history of use as a medicine, cosmetic, and poison. Before the Middle Ages, it was used as an anesthetic for surgery, and it was used as a poison by early men, ancient Romans, including the wives of two Emperors, and by Macbeth of Scotland before he became a Scottish King.

The genus name "atropa" comes from Atropos, one of the three Fates in Greek mythology, and the name "atropa bella donna" is derived from an admonition in Italian and Greek meaning "do not betray a beautiful lady".


Una delle pianticelle più velenose dei nostri campi ha un nome seducente: belladonna. Pare dovuto al fatto che già le veneziane la preparavano per preparare un cosmetico in acqua distillata che faceva dilatare le pupille, rendendole più attraenti. Effettivamente essa contine fra altri alcaloidi l'atropina, usata in oculistica per questo scopo. Secondo un'altra interpretazione il nome deriverebbe dal francese belle-femme, termine usato nel Medioevo per designare le streghe che si servivano della pianta nella preparazione di unguenti e pozioni. In Italia la si è chiamata anche morella furiosa, in Germania Toll-Kirsche, ovvero ciliegia della pazzia, e in Inghilterra Deadly Nightshade, Belladonna mortale.
Linneo la denominò Atropa Belladonna ispirandosi anche al nome di una delle tre parche [

«Ma perché lei che dì e notte fila,
non gli aveva tratta ancora la canocchia,
che Cloto impone a ciascuno e compila...»

(Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27)

Le Parche (in latino Parcae), nella mitologia romana, sono il corrispettivo delle Moire greche.

In origine si trattava di una divinità singola, Parca, dea tutelare della nascita. Successivamente le furono aggiunte Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi di gravidanza.

Figlie di Zeus e Temi, la Giustizia. Esse stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.

In un secondo momento furono assimilate alle Moire (Cloto, Lachesi ed Atropo) e divennero le divinità che presiedono al destino dell'uomo. La prima filava il tessuto della vita, la seconda dispensava i destini, assegnandone uno ad ogni individuo stabilendone anche la durata, e la terza, l'inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dei potevano cambiarle.

Venivano chiamate anche Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato (dal latino Fatum ovvero "destino").

Nel Foro, in loro onore, erano state realizzate tre statue, chiamate tria Fata ("i tre destini")]

sabato 15 agosto 2009

Felce maschio (Dryopteris filix-mas)







In Germania la felce maschio (Dryopteris filix-mas) è detta anche Walpurgiskraut (cioè notte di Valpurga) perchè appunto si racconta che in questa notte le streghe si servono di questa pianta per rendersi invisibili. Una volta in Russia i contadini si recavano nella foresta, poco prima che scoccasse la mezzanotte della festa di San Giovanni Battista, portando una salvietta bianca, una Croce, il Vangelo, un bicchiere d'acqua e un orologio. Trovata una felce, tracciavano con la croce un gran cerchio intorno alla pianta; stendevano la salvietta sulla quale ponevano la Croce, il Vangelo e il bicchier d'acqua, e controllavano l'orologio. A mezzanotte in punto sulla felce poteva miracolosamente apparire un fiore che risplendeva come oro. Chi aveva avuto la fortuna di vedere quella fioritura improvvisa avrebbe nello stesso tempo assistito ad altri spettacoli meravigliosi: gli sarebbero apparsi tre soli e una luce avrebbe illuminato a giorno la foresta, anche le sue parti più nascoste. Avrebbe udito infine, un coro di risate e una voce femminile che lo chiamava. Non doveva spaventarsi: se fosse riuscito a conservare la calma, avrebbe conosciuto ciò che stava succedendo e sarebbe successo nel mondo.

In Germany, the male fern (Dryopteris filix-mas) is also known as Walpurgiskraut (ie night Valpurga) precisely because it is said that on this night witches use this plant to become invisible. Once in Russia the peasants went into the forest, shoot just before midnight of the feast of St. John the Baptist, bringing a white towel, a Cross, the Gospel, a glass of water and a clock. Found a fern, the cross path with a large circle around the plant, spread the towel on which posed the Cross, the Gospel and the glass of water, and controlled the clock. At midnight on the dot on the fern could miraculously see a flower that shine like gold. Who had the good fortune of seeing the sudden flowering at the same time would have been other wonderful performances: the three would be left alone and a light would have illuminated a day, the forest, its most hidden. Finally, he would have heard a chorus of laughs and a female voice that called him. Should not be daunted: if it had managed to keep calm, he would have known what was happening and would happen in the world.



Estrapolazione: Florario - Miti, leggende e simboli di fiori e piante - di Alfredo Cattabiani